Giuseppe Messina, Piano Tavola
Luglio 31, 2024
Giuseppe Messina, 63 anni, era un imprenditore edile di Piano Tavola (CT), ucciso il 31 luglio del 1998 nel tentativo di difendere la paga dei propri dipendenti.
Era mezzogiorno, Messina stava andando in banca a ritirare 18 milioni per pagare le paghe dei suoi dipendenti. Era titolare di una fabbrica artigianale di mobili. Un’ora dopo circa, all’ingresso della sua fabbrica, due uomini arrivati a bordo di una Duna con un lampeggiante mobile poggiato sul tetto, lo fermarono.
Pensando ad un controllo di polizia, Messina si è fermato, andando incontro ai due che invece gli hanno puntato addosso un fucile a canne mozze. Secondo la ricostruzione ufficiale, il commerciante nascondeva il denaro in più tasche e ne ha offerta una parte, circa 10 milioni. I due erano bene informati ed hanno chiesto il resto.
Messina ha cercato di prendere tempo, ma uno dei banditi ha fatto fuoco, uccidendolo sul colpo. I due sono poi fuggiti a bordo del furgoncino Fiorino della vittima, ritrovato poco metri dopo in una strada di Piano Tavola.
Nonostante l’allarme immediato, lanciato con una telefonata anonima al 112, dei due non si ebbe nessuna traccia. La zona era stata setacciata dall’alto da due elicotteri dei carabinieri e numerosi posti di blocco sono stati istituiti per un raggio di diversi chilometri.
Il segretario della Uil di Catania, Angelo Mattone, ha detto che «questo al Sud è il costo d’impresa, su cui grava ancora in modo insopportabile il peso della criminalità».
Quando si trovarono dei nomi, il Tribunale del riesame di Catania ha annullato l’ordine di carcerazione emesso dal Gip nei confronti di Alfio Napoli, Davide Alfio Coco e Francesco Sardo, arrestati l’11 aprile 2007 dai carabinieri nell’ambito delle indagini sull’uccisione dell’imprenditore, Giuseppe Messina.
Le indagini avevano portato a loro dopo 9 anni, grazie a un’impronta digitale lasciata da uno degli indagati sul lampeggiatore di una Fiat Duna, rubata, che i banditi avevano lasciato sul luogo del delitto. Obiettivo dei rapinatori erano i milioni di lire che Messina aveva da poco prelevato in banca per pagare gli stipendi ai suoi dipendenti. Poco dopo le impronte non corrispondevano con quelle contenute dal sistema Afis, al quale lavorano i carabinieri del Ris di Messina.
Caro Giuseppe, noi non ti dimentichiamo.