Calogero Di Bona, Palermo
Settembre 2, 2023
Calogero Di Bona naque a Villarosa, 29 agosto 1944 ed è stato un militare italiano, Maresciallo Ordinario. Vicecomandante presso la casa circondariale di Palermo. Qui entrò all’età di vent’anni membro del Corpo degli Agenti di Custodia.
Il 28 agosto 1979 scomparve in circostanze misteriose da Palermo dopo una giornata di lavoro. Il successivo giorno avrebbe compiuto trentacinque anni. La maggior parte di questi anni li ha trascorsi lavorando presso il primo istituto Penitenziario del capoluogo Siciliano, Ucciardone.
Inizialmente si parò di lupara bianca, una modalità usata spesso da Cosa nostra per far sparire i corpi senza tracce. Poi si parlò di un regolamento di conti. Il maresciallo Di Bona, quel giorno, uscì per andare a prendersi un caffè, dopo che aveva accompagnato la moglie e i figli dalla nonna. Non tornò più.
Le indagini inizialmente furono affidate al giudice Rocco Chinnici. Il giudice, non riuscendo ad accertarne la causa precisa, disse che la misteriosa scomparsa di Di Bona era strettamente legata al lavoro che svolgeva all’interno del carcere Ucciardone. Egli era un fedele servitore dello Stato, sempre ligio al proprio dovere e all’onore della divisa che indossava.
L’assassinio di Chinnici, il 29 luglio 1983, con un’autobomba al tritolo e nel quale morirono insieme a lui i due carabinieri di scorta: il maresciallo Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta e il portiere dello stabile in cui abitava, Stefano Li Sacchi, distrusse le speranze dei familiari di sapere la verità su come andarono realmente le cose.
Nel 2010 i figli del maresciallo si sono rivolti alla Procura di Palermo per far riaprire le indagini sulla scomparsa di Di Bona. I magistrati Francesco Del Bene e Amelia Luise ripresero ad interrogare nuovi e vecchi collaboratori di giustizia. Solo nel 2012 la Procura di Palermo individua gli assassini del maresciallo che voleva riportare la legalità all’interno del carcere Ucciardone. I collaboratori di giustizia hanno raccontato che dopo essere stato sequestrato, è stato ucciso nel giardino di una casa localizzabile nel quartiere Cardillo, nella zona Città Giardino a Palermo.
Fece una terribile fine il Vice Comandante. “Quel giorno dovevamo strangolare anche due ladruncoli dello Zen”, racconta il pentito Francesco Onorato, che non ricorda il nome di quei ragazzi ribelli. “Tutto andò bene. Dei ladri dello Zen non se ne parlò, perché era una cosa di routine. Invece, Di Bona era una cosa eclatante, venne portato da Liga, poi strangolato e bruciato su una graticola”. Onorato non tralascia alcun particolare: “Il cadavere si strangolava sopra una coperta, così se usciva, scusando l’espressione, un po’ di pipì o un po’ di sangue, rimaneva tutto lì. Non restava un capello. Poi portavamo i cadaveri a Liga, che li metteva anche dentro il forno del pane. Lui diceva sempre: non facciamo che li avete spogliati tutti, mi avete lasciato qualche cosa? Tipo collane, portafogli. Lui si prendeva queste cose. Era la sua ricompensa”.
Pochi giorni prima della morte della morte del maresciallo, il 6 agosto, il boss Michele Micalizzi e altri cinque mafiosi pestarono a sangue l’Agente di Custodia Antonio Angiulli, come mai era accaduto nel carcere. La direzione del carcere stranamente non aveva preso alcun provvedimento per i responsabili del pestaggio. Tuttavia una lettera anonima scritta da alcuni agenti del carcere, denunciò l’accaduto non solo alla procura generale, ma anche al giornale L’Ora.
“Se fosse stato un altro detenuto veniva subito isolato — accusavano — invece il bastardo, condannato a 20 anni per l’uccisione del nostro compianto collega Cappiello, viene trattato con i guanti bianchi”.
Scattò un’ispezione all’Ucciardone dopo quella lettera. I mafiosi andarono su tutte le furie, rapirono Di Bona per tentare di conoscere i nomi degli autori dell’anonimo gesto. Ciò nonostante meno di un anno dopo, nello stesso carcere, muore l’Agente di custodia Pietro Cerulli per percosse.
Il mandante fu Saro Riccobono, boss di Partanna Mondello, mentre i responsabili, individuati dalla Procura della Repubblica, e dagli uomini della DIA, accusati dell’omicidio sono: Salvatore Lo Piccolo e Salvatore Liga detto Tatunieddu, proprietario del forno dove bruciavano i corpi.
I due mafiosi vengono condannati all’ergastolo dalla prima Corte d’Assise di Palermo il 18 luglio 2014. La terza Corte d’Appello di Palermo il 2 novembre 2015 riconfermava le condanne all’ergastolo. Il 20 aprile 2017 la Corte di Cassazione a Roma, mette la parola fine con tanto di sigillo, per l’unico mafioso rimasto in vita, Salvatore Lo Piccolo.
L’8 gennaio 2018 l’Ucciardone prende il nome di “Casa di Reclusione Calogero Di Bona”. In onore di un grande Uomo, degno della divisa che indossava.