Novara di Sicilia
Dicembre 2, 2022
Il borgo che ci aspetta è situato tra i Nebrodi e i Peloritani, a circa 650 metri sul livello del mare. Novara di Sicilia non è soltanto uno dei borghi più belli d’Italia ma è anche un borgo di pietra perché si trova vicino alla straordinaria rocca di Novara. Essa è una delle mete preferite dai praticanti di trekking (nota come Rocca Salvatesta e alta circa 1340 metri, da lontano ricorda la forma di un leone sdraiato).
Per cominciare dovremmo eseguire un’archeologia del nome del borgo per scoprire di più sulla sua storia e sui suoi tratti connotativi fin dall’antichità. Il primo antichissimo termine sicano “Noà” significava “maggese” ed indicava la vocazione del territorio alla coltivazione del frumento. I Romani cambiarono il nome in “Novalia” ossia “campo di grano”. Il famosissimo scrittore romano Plinio il Vecchio parlò dei cittadini del luogo come di “noeni” rifacendosi all’antico etimo sicano. Gli Arabi, rimanendo nello stesso ambito semantico, denominarono il borgo “Nouah” il cui significato è “giardino”. Successivamente il nome cambiò ancora in Nuaria o Nucaria fino a divenire Noara e, nel Novecento, finalmente Novara.
Di questo primo excursus etimologico possiamo approfondire i capitoli di storia scritti dai dominatori che si sono avvicendati. Del passato preistorico sopravvivono le rudimentali abitazioni scavate nella roccia Sperlinga (in frazione San Basilio) e i ritrovamenti in contrada Casilini. Durante il periodo greco-romano la cittadina si arricchì notevolmente, fino al terremoto, avvenuto durante il primo secolo d.C., che ne interruppe bruscamente lo sviluppo.
Nel sesto secolo d.C. sotto i Bizantini, il centro pulsante novarese tornò ad essere quello antico di Casilini. Con gli Arabi, nel nono secolo, il centro si spostò verso il nuovo castello saraceno. Tra il 1061 ed il 1072, a seguito della conquista normanna, si insediò a Novara una colonia di lombardi e di francesi cristiani. Si tratta del processo di latinizzazione innescato dai Normanni per cristianizzare massicciamente l’isola e ripopolarla laddove gli scontri civili e l’emigrazione musulmana avessero spopolato certi territori. Dobbiamo a tale operazione la grande eredità immateriale linguistica dei dialetti gallo-italici. Dialetti parlati ancora oggi non solo a Novara ma anche a Nicosia, Sperlinga, San Fratello e negli altri comuni vicini.
Tra il 1137 ed il 1166 venne edificato il primo monastero cistercense in tutta la Sicilia da Sant’Ugo (che morì proprio qui a Novara di Sicilia): l’abbazia di Santa Maria la Nohara. Nel tredicesimo secolo il borgo si fortificherà ulteriormente con Ruggero di Lauria e si comincia ad attestare il nome castrum Nucariae. Il borgo, dallo stampo medievale ancora oggi ben visibile nell’impianto urbanistico, conserva i tipici vicoli stretti (vaelli) acciottolati. Esso ha un particolare colore caldo dato dalla pietra rossa marmorea della zona (cipollino) e dalla pietra arenaria. Si fanno notare immediatamente gli elementi architettonici per la grande abilità con cui sono scolpiti. Novara vanta infatti una lunga tradizione artistica scalpellina. Questa, pur essendosi perduta con l’introduzione violenta del cemento, è stata ripresa negli ultimi anni restituendo prestigio al borgo.
La famiglia Palizzi, di origine normanna, detenne il controllo del borgo tra la fine del dodicesimo e la prima metà del tredicesimo secolo prima che il governo passasse a Vinciguerra d’Aragona. Il Duomo Santa Maria Assunta di Novara risale al sedicesimo secolo ed è noto non solo per la maestosa facciata monumentale corredata da un’ampia scalinata, ma anche per il coro ligneo del Settecento, l’altare del Sacramento in marmo intarsiato a smalto, il battistero in marmo cipollino, la statua dell’Assunta e il grande crocifisso in legno. Santa Maria Assunta e Sant’Ugo sono i Patroni del Paese e si festeggiano tra il 14 ed il 22 agosto. Periodo in cui il piatto tradizionale è la golosissima pasta “ncasciada” condita con ragù di vitello e castrato, polpette sbriciolate, melanzane, uova e pan grattato.
Nel diciassettesimo secolo il borgo vive un altro periodo di grande fioritura in cui costruirono la chiesa di Sant’Ugo abate. Questa conserva un bellissimo vaso arabo noto come la giara di Sant’Ugo (un grande reliquario ligneo) un crocifisso ligneo e un dipinto su tavola raffigurante L’Annunciazione dello Stetera (1570). Un’altra importante chiesa edificata in questo periodo è quella dell’Annunziata dalle tre navate con colonne in pietra a sezione quadrata. Qui si conserva un organo a canne settecentesco e il pregevole gruppo marmoreo dell’Annunciazione che consta di tre statue in marmo pario decorato scolpite nel 1531 da Giovambattista Mazzolo. Anche la chiesa di San Nicolò risale al diciassettesimo secolo, ma è stata restaurata di recente.
Non si possono non annoverare anche gli splendidi palazzi settecenteschi come l’elegante palazzo Stancanelli e il palazzo Salvo Risicato di recente recuperato dal Comune. Nel borgo potrete visitare il museo etno-antropologico che conserva beni storici, artistici, archeologici e beni folclorici appartenenti al mondo contadino. Dobbiamo poi ricordare il Gioco carnevalesco del Maiorchino in cui ci si divide in squadre e si gioca a far scorrere delle forme di cacio (forme particolari che qui si chiamano maiorchini) lungo un percorso determinato a cui seguono grandi abbuffate di ricotte fresche, maccheroni al sugo di maiale e di altre prelibatezze.
Tra i prodotti gastronomici imperdibili ci sono poi il piatto dal nome roboante di lempi e trori (lampi e tuoni) preparato con fagioli, cicerchia, granoturco, lenticchie e grano bolliti e conditi. Ci sono anche gli squisiti frittui ossia carne di maiale mista a lardo, lessa insieme a cotiche, trippa, polmone, cuore, fegato dello stesso maiale. In occasione della Pasqua portano quattro “varette” a spalla e si assiste, nella notte del Sabato Santo, alla spettacolare Resurrezione meccanica.