Beatificazione del giudice Livatino, uomo dall’animo nobile
Luglio 4, 2022
E’ proprio a Canicattì – paese di circa 36.000 abitanti della Sicilia occidentale situato in provincia di Agrigento – che nacque l’illustre giudice Rosario Angelo Livatino.
Quest’ultimo, dopo aver conseguito la maturità classica nella già menzionata cittadina, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Palermo. Qui, a soli 22 anni, si laureò con il massimo dei voti. Tale percorso di studi brillante trovò immediata conferma negli ulteriori traguardi raggiunti in ambito lavorativo. Infatti, dopo aver già vinto un primo concorso pubblico, nel 1978, riuscì ad accedere al ruolo di magistrato ordinario classificandosi tra i primi in graduatoria a livello nazionale. Inizialmente lavorava al tribunale ordinario di Caltanissetta ed, in seguito, diventò sostituto procuratore presso il tribunale ordinario di Agrigento, ricoprendo tale ruolo fino al 1989.
Ricordato anche come “il giudice ragazzino”, poiché quando – quel 21 settembre del 1990 lungo la strada statale che quotidianamente percorreva da Canicattì ad Agrigento – morì, per mano della cosca mafiosa agrigentina denominata “Stidda”, Livatino aveva ancora 38 anni. Trattasi del più giovane tra i 27 magistrati uccisi per lo più da associazioni di stampo mafioso o terroristiche.
Il magistrato siciliano aveva da sempre rifiutato di essere accompagnato da una scorta. La sua intensa fede cattolica lo induceva a non voler mettere a rischio la vita di altre persone confidando in una protezione divina. Tuttavia, quel fatidico giorno, dopo lo sbandamento fuori strada e la sua tentata fuga, nonostante implorò i picciotti di concedergli di vivere, lo finirono con un colpo di pistola al volto.
Quando morì, era giudice di Tribunale, in servizio ad Agrigento come giudice a latere e si occupava di misure di prevenzione. Qualche anno prima, nel ruolo di sostituto procuratore, aveva avviato diverse inchieste su fatti di criminalità organizzata di stampo mafioso. Tra queste, insieme ad altri colleghi, si interessò della prima grossa indagine sulla mafia agrigentina che sarebbe poi sfociata nel maxi processo contro le cosche mafiose di Agrigento, Campobello di Licata, Canicattì, Porto Empedocle, Ribera e Siculiana, conclusosi con 40 condanne.
Facendo specifico riferimento alla sentenza di condanna emessa a carico degli esecutori e mandanti del suo omicidio, Rosario Livatino è stato eliminato. Le sue continue interferenze e la sua intransigenza nel perseguire e punire coloro che facevano parte dei sodalizi criminosi in oggetto incidevano negativamente sull’attività criminale che tali associazioni si proponevano di portar avanti. Infatti “si sarebbe preteso un trattamento lassista. Cioè una gestione giudiziaria se non compiacente, almeno, pur inconsapevolmente, debole. Che è poi quella non rara che ha consentito la proliferazione, il rafforzamento e l’espansione della mafia”.
Dagli scritti del giudice canicattinese, uno nello specifico riguardante il ruolo del magistrato all’interno della società, si coglie la raffinatezza mentale di un professionista acculturato ed assolutamente consapevole dell’importanza del ruolo che ricopriva, tutt’altro che sopraffatto dagli ardori giovanili (come alcuni lasciarono intendere). Soprattutto per tali ragioni Dalla Chiesa nel dedicargli un libro decise di chiamarlo, riferendosi all’accezione positiva del termine, “il giudice ragazzino”.
Lo stesso Livatino, nel descrivere il corretto modus operandi del giudice modello, scriveva: “L’indipendenza del giudice, infatti, non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrifizio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella sua indisponibilità ad iniziative e ad affari, tuttoché consentiti ma rischiosi, nella rinunzia ad ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori che, per loro natura o per le implicazioni che comportano, possono produrre il germe della contaminazione ed il pericolo della interferenza; l’indipendenza del giudice è infine nella sua credibilità, che riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni ed in ogni momento della sua attività”.
Coerentemente con queste affermazioni conduceva la sua vita con molta riservatezza. Tutto all’insegna della fede cattolica pur riuscendo a conciliarla con la laicità imposta dalla funzione che rivestiva.
Durante lo svolgimento delle indagini sulla sua morte gli inquirenti si sono a lungo interrogati sul significato della sigla “s.t.d.” che ricorreva frequentemente in moltissimi dei suoi scritti. Il significato che in ultima battuta si è ritenuto corretto è: “sub tutela dei” che, tradotto letteralmente, significa “nelle mani di Dio”.
Il processo diocesano di beatificazione di Rosario Livatino ha preso avvio il 19 luglio del 2011. In tale data, l’arcivescovo Francesco Montenegro ne ha firmato il relativo decreto.
In aggiunta Papa Francesco, in data 21 dicembre 2020, con un decreto ne ha riconosciuto il martirio in odium fidei.
La cerimonia di beatificazione si svolge nella giornata odierna, 9 maggio 2021, nella cattedrale di Agrigento presieduta dal cardinale Marcello Semeraro. Proprio il 9 maggio del 1993 Giovanni Paolo II, durante la sua visita alla Valle dei Templi di Agrigento, si rivolse ai mafiosi in maniera perentoria. Il Papa utilizzò parole forti: “Convertitevi! una volta verrà il giudizio di Dio”. Proprio durante la solenne cerimonia di beatificazione sarà mostrata la camicia che il giudice Livatino indossava il giorno in cui perse brutalmente la vita.
Tale capo rappresenta la reliquia che suggella per la Chiesa l’eroismo cristiano e morale del nuovo Beato.
L’invito del sommo pontefice è stato inoltre rivolto all’intera comunità siciliana con le seguenti affermazioni: “Che sia concordia in questa vostra terra! Concordia senza morti, senza assassinati, senza paure, senza minacce, senza vittime! Che sia concordia! Questa concordia, questa pace a cui aspira ogni popolo e ogni persona umana e ogni famiglia! Dopo tanti tempi di sofferenze avete finalmente un diritto a vivere nella pace”.
Il suo attuale successore, Papa Francesco, nell’esprimere la sua profonda stima per questo servitore di Dio e dello Stato lo ha definito come
“un esempio luminoso di come la fede possa esprimersi compiutamente nel servizio alla comunità civile e alle sue leggi”, continua Bergoglio ritenendo che la sua “testimonianza martiriale di fede e giustizia sia seme di concordia e di pace sociale, sia emblema della necessità di sentirci ed essere fratelli tutti”. Conclude con un ringraziamento particolare affermando che “a Rosario Angelo Livatino, anche attraverso la sua beatificazione, rendiamo grazie per l’esempio che ci lascia, per aver combattuto ogni giorno la buona battaglia della fede con umiltà, mitezza e misericordia. Senza mai abbandonare la fede e la giustizia, neppure nell’imminenza del rischio di morte”.
Il magistrato siciliano abitava a Canicattì in Viale Regina Margherita n. 166, dove, in onore dello stesso ed in occasione della sua beatificazione, il Comune di Canicattì ha previsto l’istallazione di un impianto che con un intenso fascio di luci illuminerà la parte esterna dell’abitazione della famiglia Livatino. Tale iniziativa ha lo scopo di richiamare alla memoria il modus operandi del nostro concittadino. Grazie alla luce bianca, netta e senza sbavature, che lo ha accompagnato durante la sua vita professionale ha con determinazione e senza incertezze o ripensamenti assunto direzioni chiare e nette nella lotta contro la mafia.
L’antico palazzo dell’Ottocento in cui viveva Rosario Livatino e la sua famiglia è stato con molta accortezza mantenuto nel suo stato originario dagli attuali custodi. Quest’ultimi con il consenso dei diretti interessati hanno previsto il libero accesso dei visitatori dal 7 all’11 maggio 2021 per offrire delle visite guidate alla scoperta delle stanze che hanno accolto la famiglia Livatino e hanno accompagnato il percorso di crescita del giovane Rosario. Tali visite saranno incentrate sul tema “la via della fede”. Proprio in linea con quello che è il percorso di vita dell’illustre magistrato, sempre illuminato dalla luce di Cristo.
Entrando in questo immobile ci si immerge nel passato. Si viene direttamente a contatto con gli oggetti più cari di Rosario Livatino e della sua famiglia. Lo sguardo è subito catturato dalle rifiniture ottocentesche e dalla linearità dell’arredo accompagnato da un meticoloso ordine dei suppellettili. Dal fatidico giorno ad oggi la sua abitazione, ma soprattutto la stanza in cui trascorreva la maggior parte del suo tempo, sono rimasti immutati per volere della famiglia e della signora Giuseppina. Quest’ultima collaboratrice domestica a cui la famiglia è particolarmente legata, la quale ebbe in eredità il bene fisico e l’impegno morale di custodirlo.
Nel 2015 la Casa del Magistrato Livatino ed i beni mobili contenuti sono stati dichiarati dalla Soprintendenza ai beni Culturali e Ambientali di Agrigento, beni d’interesse artistico, storico, etnoantropologico ed architettonico di grande importanza. Essi costituiscono il connubio tra testimonianza di memoria storica e valenza architettonica. La Casa del giudice ragazzino ha già da tempo un sito internet (www.casagiudicelivatino.it) dalla quale i visitatori possono apprendere tutte le informazioni utili per conoscere meglio il nostro grande concittadino.
Il giudice Livatino viene venerato come martire dalla chiesa cattolica ed oggi riposa nel cimitero della città natale.
Dobbiamo tanto a quest’uomo. La gente, il territorio, la città, la nazione che dimentica i suoi eroi sarà essa stessa dimenticata. Prendiamo esempio dai grandi per tenere vivo il ricordo delle loro grandi gesta.