Fascismo in Sicilia: cronache oscure e verità sommerse
Aprile 25, 2025

Quando si parla di fascismo in Sicilia, si rischia spesso di ridurre il discorso a un semplice passaggio storico, come se l’isola avesse subito il Ventennio quasi di riflesso rispetto al continente. Eppure, la realtà fu molto più complessa e segnata da episodi che ancora oggi pesano sulla memoria collettiva.
Un’occupazione annunciata

Dopo la Marcia su Roma del 1922, il fascismo mise radici rapidamente anche in Sicilia. Tuttavia, la regione presentava delle specificità che Mussolini capì presto di dover affrontare diversamente. Il primo problema era il potere dei vecchi notabili e quello della mafia, che il regime tentò di spezzare attraverso l’invio di figure come Cesare Mori, il cosiddetto “Prefetto di Ferro”.
Il caso di Cesare Mori è uno dei più celebri: inviato nell’isola nel 1925 con “pieni poteri”, Mori intraprese una durissima campagna di repressione, arrestando migliaia di persone sospettate di connivenze mafiose. Memorabile il 17 gennaio 1926 il grande assedio al paese di Gangi, con oltre 200 arresti. Le sue azioni furono spettacolari e servirono più alla propaganda del regime che a un vero sradicamento della criminalità. La mafia, infatti, seppe riorganizzarsi, spesso camuffandosi sotto il manto nero del partito.
Cronache dimenticate: la repressione contadina
Uno dei capitoli più bui del fascismo siciliano riguarda la repressione delle lotte contadine. Negli anni ’20 e ’30, molti braccianti siciliani chiedevano riforme agrarie e migliori condizioni di lavoro. In risposta, il regime fascista schierò milizie armate e usò la violenza sistematica.
Celebre è il caso di Casteltermini (Agrigento), dove nel 1927 durante uno sciopero agricolo, le squadre fasciste aprirono il fuoco contro i manifestanti, causando morti e feriti. Simili episodi si registrarono anche a Piana degli Albanesi e a Riesi, teatro nel 1931 di una violenta repressione di un corteo di braccianti in sciopero.
L’adesione forzata e l’irriducibile resistenza

La politica del consenso fascista si impose in Sicilia anche attraverso pressioni violente e tesseramenti forzati. Chi rifiutava l’iscrizione al Partito Nazionale Fascista rischiava il licenziamento, la sorveglianza della polizia politica, oppure peggio. Molti intellettuali, preti e sindacalisti li mandarono al confino.
Un caso emblematico fu quello di Francesco Lo Sardo, giornalista e politico comunista originario di Naso (Messina), arrestato nel 1926 e condannato al confino a Ponza. Lo Sardo divenne simbolo della resistenza antifascista siciliana, pagando con la vita il suo impegno: morì in carcere nel 1938, ufficialmente per malattia, ma in circostanze mai del tutto chiarite.
Eppure, la Sicilia fu anche terra di resistenza silenziosa. Numerosi gruppi clandestini continuarono a operare nell’ombra, soprattutto nei centri universitari come Palermo e Catania, seminando idee di libertà e preparando la stagione dell’antifascismo.
Verità sepolte e memoria incompleta
Dopo la caduta del regime, molti episodi di cronaca nera legati al fascismo in Sicilia vennero rapidamente rimossi o dimenticati. Il dopoguerra, con le sue urgenze sociali e il riassetto politico, spostò l’attenzione altrove.
Tuttavia, documenti, testimonianze e racconti orali parlano chiaro: il fascismo non si limitò a essere “trasferito” dal Nord, ma mise radici in Sicilia attraverso atti concreti di violenza, corruzione e tradimenti locali, sostenuti da vecchie logiche di potere e nuove alleanze.
Conclusione: una storia ancora da raccontare
Oggi, rileggere quegli anni senza retorica significa accettare che il fascismo non fu solo una parentesi imposta dall’alto. Si trattava di un fenomeno che ebbe complici, oppositori e vittime ben precisi anche nelle isole più remote. In Sicilia, forse più che altrove, la verità storica si intreccia ancora ai non detti, e alla necessità di dare finalmente voce alle storie sommerse.
Buona festa della liberazione a tutti.