Gian Filippo Ingrassia, il medico che sconfisse la peste
Dicembre 4, 2022
Gian Filippo Ingrassia fu un medico e anatomista siciliano, che nacque a Regalbuto nel 1510. Sin da piccolo amante della cultura e dopo un primo periodo a Palermo, giunse all’Università di Padova. Qui ebbe contatti con i grandi della medicina ed infine si laureò.
Insegnò all’Università di Napoli e la sua fama crebbe notevolmente, grazie alle sue importanti scoperte anatomiche, tra cui quella della staffa, un ossicino dell’orecchio. Tornò in Sicilia e il Senato lo promosse “lettore ordinario di medicina”. I suoi criteri medici, grazie ai casi dai lui seguiti, si diffusero notevolmente.
Quando la Sicilia fu sconvolta dalla peste, tra il 1575 e il 1576, il viceré Don Carlo, duca di Terranova, lo chiamò alla sua corte e fu li che Ingrassia dette prova di integrità, notevole generosità e di grande competenza nel prestare soccorso e cure ai cittadini colpiti dalla malattia. Da questa terribile esperienza trasse il materiale per il suo prezioso “Informatione del pestifero et contagioso Morbo”.
Fu un grande successo poiché secondo i suoi studi bisognava aggredire il morbo su due fronti: quello medico-sanitario e quello istituzionale. A livello istituzionale, il suo intervento si consolidò nella prevenzione, cioè in quelle misure atte a ridurre il contagio: l’obbligo di “denuncia” della presenza di un malato da parte della famiglia o del medico; l’istituzione di lazzaretti; la predisposizione di un cordone sanitario; la realizzazione di un regime di separazione tra sani, sospetti e malati; la chiusura di scuole e luoghi pubblici; la proibizione di visite ai malati o ai defunti, la promozione della quarantena per le navi che arrivavano nel porto; l’uccisione di un enorme numero di animali neutralizzati con la calce; la proibizione di tutti gli assembramenti.
Palermo guarì dalla peste e l’attività di Gian Filippo Ingrassia si dimostró, oggi più che mai, l’importanza di comportamenti responsabili e ragionati. A lui è dedicato il nome di un ospedale di Palermo.
La storia si ripete, ma gli uomini continuano a sbagliare?